È successo in Australia. Ben sette giocatori del Manly Warringah Sea Eagles, club della costa orientale che disputava il campionato d’élite di rugby a 13, hanno rifiutato di scendere in campo a supporto della comunità Lgbt con la maglia arcobaleno. La ragione? Motivi religiosi e culturali. Si tratta di Josh Aloiai, Jason Saab, Christian Tuipulotu, Josh Schuster, Haumole Olakau’atu, Tolu Koula e Toafofoa Sipley.
Il club aveva annunciato ai giocatori che sarebbe sceso in campo contro i Sydney Roosters con la nuova divisa a sostegno della comunità arcobaleno. La partita si sarebbe dovuta disputare domani e doveva essere decisiva per l’accesso ai play-off. Sui social, inevitabilmente, è scoppiata la polemica. Il club ha fatto sapere che accetta la decisione dei suoi giocatori di non scendere in campo perché non erano stati informati prima e si è scusato con la comunità Lgbt. Il tecnico Des Hasler ha ammesso che si è trattato di “un errore che ha causato confusione, disagio e dolore per molte persone, in particolare quei gruppi i cui diritti umani si stava cercando di sostenere”. Il club però disputerà la partita indossando la maglia arcobaleno.
Sul tema si è espresso anche il primo rugbista professionista a 13 dichiaratamente gay, Ian Roberts, per anni una colonna proprio della squadra australiana, che si è detto “triste e a disagio” per questo tentativo di boicottaggio. Mentre il presidente della Australian Rugby League Commission, Peter V’landys, ha fatto sapere che accetta anche la decisione dei boicottatori: “Non importa il tuo colore, orientamento sessuale o razza. Siamo tutti uguali. Non faremo mai un passo indietro nell’avere il nostro sport inclusivo. Ma allo stesso tempo non mancheremo di rispetto alle libertà dei nostri giocatori”.