L’ultima vittima dei talebani si chiama Hamed Sabouri, uno studente di 22 anni, ucciso perché gay. Lo hanno ucciso sparandogli alla nuca e mentre lo facevano hanno filmato la macabra scena per poi inviare il video alla madre del ragazzo. Tutto è successo ad agosto. Il giovane è stato rapito e ucciso. Ma la notizia è diventata pubblica solo di recente, dopo che il suo ex fidanzato ha informato i media. Ma certo l’atroce fine di Sabouri non è l’unico caso di violenza nei confronti della comunità Lgbt+. L’anno scorso un altro ragazzo gay è stato ucciso. Il suo fidanzato ha raccontato che dopo la sua esecuzione i talebani gli hanno rispedito le parti del suo corpo smembrato come avvertimento.
La comunità Lgbt+ in Afghanistan vive nel terrore
Con il ritorno dei talebani al potere la comunità Lgbt+ ha paura. “Siamo minacciati di sterminio per quello che siamo. Chiediamo di concedere l’asilo a tutte le persone Lgbtq+ dell’Afghanistan”, si leggeva subito dopo il ritorno del regime in quel paese, sul profilo Instagram @afghanlgbt, uno dei pochi account rimasti attivi. Tanti attivisti afghani in quei giorni hanno cancellato i propri profili social e spezzando le proprie carte Sim per non farsi individuare. Oltre 130 organizzazioni hanno chiesto di inserire tra le persone vulnerabili meritevoli di protezione, insieme a donne e bambini, anche le persone Lgbtq+. Tra i Paesi che hanno risposto all’appello c’è il Canada, che accoglierà 20mila afghani, dando priorità alle persone Lgbtq+ e alle donne. Nel Paese è stata reintrodotta la pena di morte per tutti gli omosessuali, perché considerate gravemente “infedeli”.