Oggi posso affermare con certezza che ho un motivo in più per essere orgogliosa di vivere a Milano:
il capoluogo lombardo, infatti, è stato candidato dall’Agenzia nazionale del Turismo (Enit) ad ospitare la 37esima convention organizzata dall’International Gay and Lesbian travel association (IGLTA), che si terrà nel 2020 e questo grazie al Comune e all’Associazione italiana del Turismo Gay and Lesbian, supportati dal Consolato Usa.
Cosa significa questo? Che potremmo accogliere centinaia di imprese turistiche e istituzioni pubbliche internazionali provenienti da oltre 80 paesi nel mondo, che buyers e fornitori si incontreranno qui per un momento di scambio importantissimo per il loro business e per incrementare il valore di Milano come meta turistica in generale e LGBT nello specifico. Dal comunicato stampa, che documenta una ricerca di Sonders&Beach e Eurisko: “Il viaggiatore LGBT è un big spender e un opinion leader capace di lanciare nuove tendenze; è, dunque, un turista con reddito superiore rispetto alla media, con formazione scolastica universitaria (39% contro il 13% della media italiana) e che per il 29% ricopre posizioni lavorative manageriali. I viaggiatori LGBT, per affari o per piacere, effettuano in media quattro viaggi l’anno. L’Italia si colloca al primo posto come meta desiderata, ma poi scende al quinto tra le mete effettivamente scelte, perché considerata poco gay friendly e con meno servizi dedicati rispetto ad altre destinazioni europee”.
Il quinto posto è un tantino basso, non trovate? E la pensa in questo modo anche Beppe Sala, che di conseguenza respinge le polemiche scatenate dalla sua decisione, assolutamente coerente con la vocazione di una Milano sempre in prima fila nella tutela e nell’affermazione dei diritti LGBT. La concorrenza nella corsa alla conquista di questo podio è spietata: Bruxelles e Londra, Tel Aviv e Sidney, sono alcune tra le città che ambiscono ad accogliere l’evento, che muoverebbe tanti soldi (che non fanno mai male!) e favorirebbe l’integrazione, l’abbattimento di muri, la normalizzazione di un fatto che è già normale, per quanto molti ancora fatichino a comprenderlo.
E quindi mi vien da dire… grazie Beppe!
Chiara Mandetta