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Gli uomini con il triangolo rosa: gli omosessuali nei campi di concentramento

Torna nelle librerie, con una nuova edizione, il volume di Heinz Heger, prima testimonianza autobiografica sulle condizioni dei gay nel lager nazisti. Il libro fu pubblicato nel 1972, quando l’omosessualità era ancora un tabù. Ma non solo, essere gay continuava ad essere considerato un reato, secondo il paragrafo 175 del codice penale tedesco, che fu abolito solo nel 1994.

Gli uomini con il triangolo rosa: la prima testimonianza in assoluto di un deportato gay

Gli uomini con il triangolo rosa, edito per la prima volta in lingua tedesca nel 1972, è la prima testimonianza da parte di un sopravvissuto ai campi di concentramento, sulle condizioni dei gay nei lager nazisti. Il testo è stato pubblicato con lo pseudonimo di Heinz Heger, nome dietro al quale si cela il giovane austriaco Josef Kohout. Studente universitario, l’allora 25enne, a causa della sua omosessualità, fu internato dal 1940 al 1945 in un campo di lavoro. Autore materiale del libro fu Hans Neumann, un amico giornalista di Kohut. Neumann ha redatto il libro basandosi su 15 interviste fatte all’ex deportato fra il 1965 e il 1967.

Giovanni Dall’Orto, storico che si è occupato della nuova edizione italiana, edita da Edizioni Sonda, spiega, a proposito del valore di questo testo:

“Si tratta della prima testimonianza in assoluto di un deportato gay nei campi di concentramento. All’epoca il romanzo fu accolto da un successo mondiale, perché la persecuzione degli omosessuali era del tutto ignota. È solo grazie a Heger se altri deportati iniziarono a raccontare le proprie storie. Per questo, rappresenta una pietra miliare del nostro tempo”.

Gli uomini con il triangolo rosa: la testimonianza di Heinz Heger

Heinz Heger, nel gennaio del 1940 , stipato in un vagone di bestiame, fu portato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, in Germania. Motivo del suo internamento nel lager fu la sua relazione con il figlio di un gerarca nazista. L’omosessualità era allora perseguita legalmente secondo il codice penale tedesco.

Le regole all’interno del campo erano chiare e precise: il colore rosso era destinato ai prigionieri politici, il giallo era esclusivo per gli ebrei, il colore verde era utilizzato per i criminali comuni e infine il rosa era dedicato ai gay. A tutti gli omosessuali veniva affisso un triangolo rosa sul petto, un pezzo di stoffa più grande di quello degli altri, in modo che questi fossero immediatamente identificabili anche in lontananza. Heger ovviamente, aveva sul petto il suo triangolo rosa.

Lui stesso racconta che, chi era nella sua situazione doveva rispettare delle regole diverse:

“Potevamo dormire solo in camicia da notte e con le mani fuori dalle coperte”

E poi:

“Un omosessuale non poteva ricoprire un ruolo nel campo, né scambiare una parola con i detenuti degli altri blocchi: questo per evitare che potessimo traviarli”.

Spesso i gay erano dunque maltrattati fisicamente e venivano assegnati ai i lavori più umili e faticosi.

Gli uomini con il triangolo rosa: la situazione degli omosessuali nei lager nazisti

Dall’Orto dà un’idea dei numeri relativi alle persone omosessuali rinchiuse nei campi di lavoro durante il nazismo:

“Secondo le stime, i gay internati nei campi di sterminio nazisti sono stati circa 30 mila. Un numero che non è comparabile a quello degli ebrei, contro i quali il regime agì per sterminarli fisicamente. Ma si tratta comunque di una persecuzione che aveva l’obiettivo di tenere sotto controllo l’omosessualità, sfruttando la detenzione come deterrente”.

Lo storico chiarisce anche quale fosse il destino dei gay internati nel lager:

“Il loro destino in quel periodo era un terno al lotto, dipendeva dalle convinzioni di chi si trovavano davanti. Questo perché il nazismo non stabilì mai in modo ufficiale cosa fosse l’omosessualità. Le idee predominanti erano tre: una degenerazione di tipo fisico, una malattia mentale o un vizio morale”.

Nell’ultimo caso si interveniva come accadde per lo stesso Heinz.

Heger fu infatti trasferito a distanza di pochi mesi nel lager di Flossenbürg, sul confine cecoslovacco. Egli ricorda nel libro:

“Su ordine del comandante supremo delle Ss Heinrich Himmler, nell’estate del 1943 venne aperto un bordello per detenuti. Noi omosessuali eravamo obbligati a frequentarlo regolarmente per ‘guarire’ dal nostro orientamento”.

Si trattava di veri e propri esperimenti medici. A tal proposito, lo studioso sottolinea:

“Alla base c’era sempre il programma di eugenetica del Reich: gli individui degenerati non dovevano contaminare la razza con una prole a sua volta difettosa”.

L’alternativa al tentativo di rieducazione era poi la castrazione. Questa possibilità, in cambio della promessa di essere liberato, fu offerta anche all’austriaco. Questi però, non accettò, consapevole della sua posizione all’interno del campo che gli avrebbe potuto garantire la salvezza. All’interno del lager Heinz fu prima amante di un kapò e poi divenne kapò egli stesso.

Heinz Heger uscì finalmente dal campo di concentramento nel quale era internato nel 1945, dopo ben cinque anni. Durante questo lunghissimo periodo è stato costretto ai lavori forzati, ha subito sevizie e violenze e ha instaurato relazioni di tipo amoroso con un solo obiettivo: la sopravvivenza.