Nonostante il Gay Pride di Belgrado, la Serbia sembra ancora restia ad accettare la comunità LGBT e ad assicurare loro diritti ed inclusione.
Il primo Gay Pride in Serbia senza incidenti e ostacoli si è tenuto nella capitale Belgrado ed ha visto sfilare circa 1000 cittadini a fianco di autorità importanti come la premier serba Ana Brnabić, due ministri e il sindaco della città. Una parata pacifica che fortunatamente non ha portato rappresaglie come era successo negli anni passati e che ha dimostrato, secondo gli organizzatori e gli attivisti LGBT, come la Serbia stia cambiando verso l’accettazione sociale di tali manifestazioni.
La stessa premier Ana Brnabić, dichiaratamente omosessuale, si è esposta in questo senso ad attivare politiche governative che garantiscano il rispetto dei diritti di tutti i cittadini e delle loro diversità. Le parole della premier durante la sfilato sono state chiare: “Ogni sorta di linguaggio dell’odio, crimini dell’odio e discriminazione saranno duramente sanzionati”.
La dura lotta della comunità LGBT in Serbia
Nonostante la riuscita pacifica della manifestazione la strada per il pieno riconoscimento dei diritti omosessuali in Serbia si presenta ancora lunga e in salita.
Anche se il sentimento di accettazione sembra prevaricare sull’odio e la repressione della comunità LGBT serba, segnali poco incoraggianti minano ancora la tranquillità. Restano impresse nella mente le scene di violenza selvaggia da parte di nazionalisti e hooligans che picchiarono brutalmente i pochi partecipanti durante la prima Parata dell’orgoglio omosessuale tenutasi nel 2001 senza che la polizia intervenisse. Fecero scalpore allora le dichiarazioni dei capi delle forze dell’ordine che affermarono: “La nostra società non era matura per tale espressione di stravaganza’, e anche le parole dell’attuale presidente della Serbia Aleksandar Vućić, al tempo segretario generale dal Partito radicale serbo all’opposizione, suonano oggi da monito: ‘Il regime sta cercando di introdurre in Serbia questa lascivia innaturale come se fosse una cosa normale”.
Nel 2004 e nel 2009 si cercarono di organizzare altri Gay Pride ma la polizia non diede garanzie sulla sicurezza ai partecipanti mentre, nel 2010 alcune centinaia di persone riuscirono a fare una piccola parata in un’area recintata mentre gli hooligans mettevano Belgrado a ferro e fuoco cercando di demolire il cordone di sicurezza che li separava dalla manifestazione.
Il 2014 segnò il primo Gay Pride che fu appoggiato dal governo ma che, nonostante ciò, vide la manifestazione chiusa in un’area delimitata, con pochi partecipanti e senza il sostegno della cittadinanza.
Solo il 2017 ha segnato una timida svolta in Paese che, secondo l’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) in Serbia, discrimina ancora pesantemente la popolazione LGBT e le persone affette da HIV in diversi ambiti sociali: salute, lavoro, istruzione, servizi sociali.
Nonostante sia stata recentemente approvata una legge contro la discriminazione di genere, questa non viene rispettata e si sente ancora la grave mancanza di norme che regolarizzino i matrimoni omosessuali e il cambio di sesso. La Serbia non riesce ancora a scrollarsi di dosso l’eredità di secoli di società patriarcale e i cittadini hanno ancora paura di dichiarare il proprio orientamento sessuale a causa delle discriminazioni non punite dalla legge.
La maschera serba dei diritti gay
Vućić, capo del governo serbo da cinque anni, ha voluto fortemente Ana Brnabić come premier ed è stato lui stesso a comunicare al pubblico l’orientamento omosessuale del primo ministro. Un grande passo che ha fatto clamore oltre confine e che ha fatto pensare alla comunità internazionale che la Serbia, sulla strada per entrare nell’Unione Europea, fosse un paese moderno, democratico e rispettoso di tutte le diversità. Apparenza che, sfortunatamente, inganna: numerosi cittadini infatti denunciano di lavorare senza diritti, scoraggiati perché le istituzioni statali non funzionano, penalizzati per non essere membri dei partiti di governo e timorosi di poter esprimere un’opinione diversa dai proclami diffusi dai media di regime.
La parata del 17 settembre sicuramente ha mostrato all’Europa una Serbia all’avanguardia, sostenitrice dei diritti omosessuali. Ma non sono solo le bandiere arcobaleno e una premier lesbica che possono fare un Paese democratico, aperto alle diversità, accogliente. I diritti umani, di minoranza o LGBT sono soltanto una parte dei doveri che il governo deve compiere per far sì che la Serbia entri nell’Unione Europea. E per questo la strada sembra ancora in salita, stando alla risposta dello stesso presidente Vućić che alla domanda se avrebbe partecipato al Gay Pride, ha risposto: “Non sono né dell’umore né interessato e non mi passa per la testa di andare a quella parata. Ho cose più intelligenti da fare, e anche se non le avessi non ci andrei lo stesso”.